I tre cani
C'era una volta un vecchio contadino, che aveva due figli: un maschio e una femmina. Venendo a morte, chiamò i suoi figli e gli dice: " Questa poca di robicciola vorrei che ve la divideste amorosamente tra voialtri due fratelli ". Questa roba consisteva in un piccolo pezzetto di terra, in tre pecore, e in una casuccia.
I figli gli promisero di fare quanto gli aveva detto suo padre. Il pover'omo in pace se ne morì.
Per un poco di tempo, questi due, fratello e sorella, andarono ben d'accordo, e finite le faccende che occorrevano nel piccolo poderino, il giovanotto prendeva le pecore e andava a pascolarle in un bel prato.
Quando, un giorno, passò un bel signore avendo con sè un bellissimo cane; il contadino lo salutò cortesemente e gli disse: " Che bel cane che ha lei, signore. L'altro gli rispose: " Ti piace? lo vuoi comprare? ".
Chi sa quanti denari costa! "
Oh no: se tu mi dai una pecora, io ti do il cane ".
il contadino fu contento di potere fare questo baratto; e domandò al signore come
si chiamava questo cane;
e quello gli rispose: " Ferro "; e
se ne andò.
Il contadino, tornando a casa
la sera, fece vedere alla sorella la bellezza di questo cane; ma lei 'un fu punto soddisfatta; anzi andò in collera dicendogli: " E' un mangiapane inutile ". E il giovane non si confuse. La mattina di poi, prese le sue due pecore e il cane, e li condusse a pascere. Sull'ora di mezzogiorno passò un signore con un altro cane, ma molto più bello di quello di prima, e disse al contadino: " Oh che bel cane che hai! " " Ma anche voi, signore, ne avete uno più bello del mio! " - " Se tu lo vuoi, dammi una pecora, e io te lo do ". Il contadino stiede un poco a pensare; lo spaventavano i rimproveri della sorella; ma finì che vinse la tentazione, e diede la pecora, e prese il cane. Prendendo il cane, fece la stessa dimanda a quel signore, come si 'chiamava: "Acciaio", dice quello, e sparì.
Tornato a casa, la sorella andò su tutte le furie, dicendogli che quella non era la maniera, e che nell'inverno non c'era da tosare altro che cani per farsi le calze e le camiciole.
Lui, conoscendo che il rimprovero era giusto, stiede zitto; e la mattina dopo di bon'ora andò a pascere l'altra pecora che gli era rimasta, ma conducendo con sè i cani, che di già gli si erano affezionati moltissimo. Alla solita ora passò un altro signore con un bellissimo cane. Il contadino non si stancava d'ammirarlo dicendo: " Com'è bello! " e il signore gli rispose: " Se mi dai codesta pecora, io ti do il cane "; e così fu fatto. Dimandò il nome anche di questo e gli fu risposto che si chiamava Píù-forte-di-tutti.
Tornato a casa la sera con tre cani, trovò la sorella così irritata che pareva una furia, ma lui con tutta pacatezza le disse: " Non confonderti; di quello che ci ha lasciato nostro padre, son contento di prendere per mia parte le tre
pecore e un sacco di pane e me ne anderò ". La sorella, che era d'indole molto cattiva, non andò neppure a letto per fargli pane nella nottata, chè la mattina lo trovasse pronto, e se ne andasse più presto. Il povero giovane prese il sacco del pane ed i suoi tre cani, senza sapere dove andare, ma sperando nella Provvidenza, gridò con gioia: " Ferro. Acciaio. Più-forte-di-tutti, andiamo! "
Le tre bestie, appena sentito quest'ordine, s'avviarono avanti tutti allegri; e il contadino con il sacco di pane sulle spalle, dietro. Cammina, cammina; il tempo era nuvoloso, e minacciava venire molta acqua, quando ad un tratto i cani si cacciarono dentro ad un bosco. L'acqua veniva a dirotto, ed erano fradici contadino e cani. Ma dopo fatto forse un miglio, trovarono una bella villetta, ed i cani senza complimenti infilarono su per le scale; il contadino li seguì pensando che il padrone della casa non sarebbe stato tanto scortese da farlo star fori con quel tempo. Ma, girando di qua e di là per quella casa senza veder mai nessuno, trovò un bellissimo caminetto, dove c'era un foco scintillante e una tavola apparecchiata di ogni ben di Dio. Un poco si fermò, ma la fame non sente ragioni e pensò bene di mangiare. A quella bella fiamma si asciugò i suoi panni, e con molto amore asciugò ancora i suoi tre cani. Sopraggiunse la notte, e non comparve nessun padrone di casa. Tutto ad un tratto, vidde illuminarsi la stanza da molti lumi, e di novo ímbandita una bella cena, e con tutto il piacere ne approfittò, e nutrì anche i suoi carissimi cani.
Dopo un pezzo gli venne sonno, e i cani lo presero per le falde del suo giubbone e dolcemente lo spinsero in una camera da letto. Il contadino rimase un poco a guardare stupefatto, ma non sentendo nessun romore, si pogliò, e andiede a letto. I cani si sdraiarono in terra, uno di qua e uno di là dal letto, e uno da piedi, facendogli corona. Fino a giorno inoltrato non si svegliò nè padrone nè cani, ma appena che furono tutti svegli, i cani andarono a fare festa al suo novo padrone. Entrato nella sala dove avevano mangiato il giorno avanti, trovarono una bella colazione. Dopo mangiato, il contadino si voltò e vidde in un angolo della stanza un bellissimo fucile da caccia. Lo prese in mano, con il pensiero di andare a cacciare. I cani, che capirono il pensiero del padrone, facevano lanci di gioia, e lui gli disse: " Ferro, Acciaio, Più-lorte-di-tutti andiamo! " e questi si precipitarono per le scale.
Entrati nel bosco, girarono un pezzo, e il contadino si divertì immensamente; quando fu in circa a mezzogiorno, i cani ritornarono indietro, e rientrarono nell'istesso palazzo, dove trovarono un benissimo desinare già pronto. Mangiarono con molto appetito, e dopo il pasto ritornarono fori. Quando fu l'ora tarda, i cani ritornarono a casa, dormirono, e il giorno dopo fecero l'istessa storia.
Questa vita beata durò per un pezzo, ma il giovane contadino, che avea bon core, pensò tra sè: - lo vivo come un signore, e la mia povera sorella vive tra le fatiche e gli stenti; non sarebbe bene che io l'andassi a prendere e la conducessi qui? - Formato appena quest'idea, sopra un tavolino trovò un sacco pieno zeppo d'oro. S'empì le tasche del suo giubbone, e disse a' suoi cani: " Ferro, Acciaio, Píù-lorte-di-tutti, venite con me ". I cani gli andarono dietro. Arrivato a casa della sorella, gli raccontò la fortuna che il celo gli avea mandato; e se voleva anche lei goderne, fosse andata con lui. La ragazza accettò, chiuse la casa, e andò via col fratello dando delle brutte occhiate a' poveri cani.
Arrivati alla sua abitazione, la trovarono deserta come per il passato, ben provvista di tutto, ma con la sola differenza che i viveri che gli venivan amministrati belli e cucinati, ora che c'era la sorella gli veniva amministrata la roba cruda, che la sorella bisognava che la cocesse. I cani e il padrone seguitavano la stessa vita, di starsene fori tutto il giorno, tornando solo all'ora de' pasti. Ma un giorno, mentre la sorella era a fare la cucina, sentì per le scale una persona che saliva e batteva forte il suo bastone. S'affacciò alle scale, domandando: " Chi è? che volete? " E una voce assai dura di uomo molto vecchio gli rispose: "Impertinente! e non sai che questa è casa mia? " Ma ella, che aveva sempre l'animo perverso, rispose: " Io non ci ho che fare; mi ci ha portato mio fratello; non la prendete con me ". " Ebbene ", rispose il vecchio, " se la colpa è del tuo fratello, si farà morire ". - " Fate quel che volete, ma io non ci ho che fare! ".
Il vecchio si frugò in tasca, e levò fori un piccolo involtino di carta, dicendole: " Prima mangia quanto ti fa fame, e poi questa polverina la metterai in tutto ciò che deve mangiare il tuo fratello ".
La cattiva sorella accettò. Il vecchio se ne andò via dicendo di tornare il giorno dopo, a sentire il resultato. Quella donna mangiò quanto volle, e poi messe il veleno in quello che dovea mangiare il fratello.
Ecco che all'ora solita ritornano i cani con il suo padrone; ma questi salgono le scale così presto che buttando in terra tutto ciò che gli si parava davanti, andarono diviati alla cucina, montarono sul camino, rovesciarono tutti i piatti, e, arrufolandoli e arraspandoli con i piedi, li ridussero in modo da non restarne neppure un bocconcino.
La donna andò per le furie, ma il buon contadino disse: " 'Un ti confondere; gli è venuto quest'estro alquanto capriccioso ai miei cani: mangeremo del pane e del prosciutto, che per noi non sarà una cosa strana "; e così fu fatto.
La mattina di poi, quando la donna era sola in casa, ricomparve il vecchio, dicendo: " Non ti è riuscito a farlo mangiare, eh? " - " Sono stati que' maledetti cani che mi hanno buttato all'aria tutto! " " Ebbene, eccoti un'altra
cartolina, riprova anche una volta, e addio. Domani ritornerò ".
La cara sorellina fece l'istesso lavoro, ma gli amorosi cani mandarono a voto anche questa volta il tradimento al loro padrone. Il giorno dopo tornò il vecchio; dice: " Sinchè ci saranno que' maledetti cani, non potremo far nulla; ma prova un po' una cosa: quando è vicino a tornare il tuo.. fratello, buttati sopra il letto, e gli dirai che ti senti tanto male, e che ti farebbe un gran piacere se andasse in giardino a coglierti un limone. Lui vorrà condurre seco i cani, ma tu fingi d'inquietarti molto e costringilo a lasciarli. Appena che ha voltato le spalle, prendi i cani e rinchiudili in una stanza dove c'è una inferriata perchè non possano sortire; il resto lascia fare a me ".
Così quando tornò a casa il fratello, lei disse di sentirsi tanto male, e che avrebbe preso volentieri una limonata con un limone fresco; e lui tutto amoroso disse: " Sì poverina, anderò a coglierlo. Ferro, Acciaio, Più-forte-ditutti, andiamo! " - " Che seccatura che sei, ami più i cani che me; senza di loro non puoi stare; mi fai proprio rabbia! " - " Non ti arrabbiare; li lascerò ". E tutto pieno di affezione andò in giardino. La sorella approfittando che non c'era più il fratello, rinchiuse i cani dentro una stanza dove c'era una finestra con l'inferriata.
Il povero giovanotto, sceso in giardino, cominciò a cercare uno de' limoni più belli, quando ad un tratto si sentì piombare sulla testa una bastonata così forte che rimase sbalordito. Voltandosi e vedendo un vecchio, pensò bene di potercela, ma facendo moltissimi sforzi vide che gli toccava la peggio; cominciò a chiamare i suoi cani in aiuto con quanto fiato aveva, ma le povere bestie, che sentivano gli urli disperati del suo padrone, doventarono furenti, e tanto fecero e tanto si affaticarono che ruppero l'inferriata, e saltarono in giardino, si avventarono a il vecchio e l'uccisero;
ma erano tutti sanguinosi per le ferite che si erano fatti nel rompere la inferriata. Il contadino accarezzò e medicò i cari cani, e conobbe il tradimento della sorella; e così gli disse: " Dalla casa di nostro padre partii prendendo un sacco di pane, i miei tre cani, e ti lasciai padrona; ora qui farò lo
stesso:invece di un sacco di pane, piglierò un sacco di quattrini e i miei tre cani, e ti lascio la benvenuta ". Presi i denari,
il suo fucile: " Ferro, Acciaio, Più-forte-di-tutti, partiamo ". I cani non se lo fecero ridire, che erano di già per le scale. Lui, seguendo i suoi cani, dopo aver fatto molte miglia, entrò in una bellissima città, dove erano tutte le persone abbrunate e piangenti.
Il padrone de' cani non si sapeva raccapezzare il perchè; ma entrando in una bottega di un tabaccaio domandò cosa fosse accaduto in quella città. Il tabaccaio gli rispose: " Si vede che voi siete forestiero, perchè altrimenti sapreste che dalla riva del mare c'è un serpente con sette teste, e che tutti gli anni vuole mangiare una fanciulla, e che questa viene tirata a sorte; e quest'anno è toccato alla figlia del re, che è l'erede del trono. Dunque immaginatevi qual è la disperazione di tutti noi. Il re ha dato un ordine: Chi ammazza il drago, diverrà sposo della sua figlia ".
Il contadino lo ringrazia, ed incoraggiando i suoi cani li conduce alla riva del mare. Quando è alla riva del mare dice: " Ora è il tempo che ve ne facciate onore ". I cani si avventarono addosso al serpente, e n'ebbero diverse ferite, ma erano già impegnati, e combatti e combatti, gli riuscì ad ucciderlo. Il contadino si accostò al serpente, e gli tagliò tutte le sette lingue, le ripose in un pezzo di foglio e se le mise in tasca, e poi passo passo si ridusse al luogo di dove doveva passare la figlia del re. Andava avanti un moro brutto brutto deforme. Essendo il primo, e molto avanti, fu il primo ad arrivare al posto dove era già morto il serpente; vedendolo fermo, si accostò, e conoscendo che
era morto, gli tagliò tutte e sette le teste. Poi tutto baldanzoso tornò indietro, gridando: " Evviva! evviva! La figlia del re è salva! io ho ammazzato il serpente, e mi sarà mantenuta la promessa! ". La povera ragazza, conoscendo la sorte che gli toccava, di divenire moglie di quel brutto mostro, avrebbe quasi preferito di essere mangiata dal drago; ma non fece nulla. Ecco che tutta la città si messe a festa, e si cominciò con tre giorni di pranzo a Corte prima. del matrimonio.
Torniamo al contadino, che dopo essere stato a codesta scena, pensò di prendere un quartiere in vicinanza del palazzo reale. Quando credè che il pranzo fosse in ordine, invitò i suoi cani ad andare a fare il suo solito servizio, di buttare tutto all'aria; e Ferro, Acciaio e Più-lorte-di-tutti, volenteroso andarono e guastarono e ruppero tutto, ma si fecero diverse ferite. Per tre giorni interi seguitarono a buttar giù i belli apparecchi del pranzo, e ritornarono a casa così malconci, che il contadino bisognò che li medicasse.
Il re, saputo questo caso, domandò di chi fussero questi cani. Gli fu risposto: " Di un forestiero che abita qui vicino ". Ordinò ad uno staffiere di andarlo a chiamare, che voleva vederlo.
Il contadino rispose che se il re voleva vederlo, andasse lui, perchè lui non si sarebbe incomodato per chicchessia. - Il re rimase sorpreso di questa risposta, ma con tutto lo sdegno ebbe la curiosità di andarvi. Giunto che vi fu, gli disse: " Chi vi ha insegnato a non obbedire ad una chiamata di un re? " Ma il contadino, senza tanti complimenti, gli rispose: " Se foste un re che tenesse la sua parola, sarei venuto; ma siccome promettete le cose, e non le mantenete, non vi stimo niente affatto ". - " E in che cosa ho mancato alla mia parola? " gli rispose il re. " Avete promesso di dare la vostra figlia a chi avesse ammazzato il drago; e poi non l'avete mantenuta ".
Il re tutto pieno di stupore gli rispose: " Mi pare che anche a sacrifizio di mia figlia, mantengo la parola dandola a quel moro orribile. Ma poichè è stato lui che l'ha ucciso, bisogna che tenga la parola ".
" Ah! Ah! " rispose il contadino, " l'ha ucciso lui! ".
" Che lo mettereste in dubbio? Gli ha tagliato le sette teste ". (Il re non si sapeva dare ragione) - " Abbiate la bontà di esaminate bene quelle teste, se nulla gli manca " disse il contadino, " e vedrete che gli mancheranno queste sette lingue che tengo presso di me; ed intenderete bene che le lingue non gliele avrei potute tagliare se fosse stato vivo ".
Il re, tra sorpreso e contento, se ne ritornò al suo palazzo e fece esaminare attentamente le sette teste, e difatti si ritrovarono mancanti delle lingue. Fu subito condannato a morte il moro, e lo sposo fu il padrone de' cani.
Immaginatevi la gioia della giovane regina, vedendosi libera dal dovere divenire moglie di quell'omo. Furono fatte sontuose feste ed eseguito il matrimonio.
Lascio considerare quanto più amasse i suoi diletti cani il giovane contadino, che per la sua costanza e coraggio si era trovato a risiedere sul trono.
Passarono de' mesi i due sposi molto felici; ma una mattina non vedendo giungere i suoi cani, il giovane ne domandò il perchè, e gli venne risposto che, per quanto li avessero cercati, era stato impossibile ritrovarli. Ne pianse di dolore, ne fece ricerca per ogni dove, ma tutto fu inutile; i cani non si trovarono mai più; ne fu dolentissimo, ma bisognò che si assoggettasse al suo destino.
Una mattina gli fu annunziato un ambasciatore; e lui lo ricevè con un poco di meraviglia. Quest'imbasciatore gli fece noto che in alto mare vi erano tre bastimenti che portavano tre gran personaggi, e questi personaggi amavano il riannodare l'antica loro amicizia. Il novo re sorrise pensando in sè stesso, che questo doveva essere uno sbaglio, perchè essendo stato sempre un contadino, non poteva avere amicizia con gente grande; ma non ostante seguì l'imbasciatore per andare a vedere questi che si chiamavano suoi amici. Arrivato là trovò due re e un imperadore, che lo riceverono con gran festa, dicendogli: " Non ci riconoscete? ".
" Sarà un poco impossibile ", ei gli rispose, " perchè,. non vi ho mai veduto; e certamente voi avete preso uno sbaglio ".
" Ah non si credeva mai che voi avreste dimenticati i vostri tre affezionato cani! ".
" Come! " ei rispose, " voi siete Ferro, Acciaio e Piùforte-di-tutti? E come mai siete trasformati in questa guisa? ".
Egli risposero: " Un tristo mago ci aveva fatti divenire tre cani, e fino che-non si fusse messo un contadino in trono, non si poteva ritornare quello che si era. Dunque voi dovete avere gratitudine a noi, come noi l'abbiamo a voi, per averci saputo amare e soffrire tutte le vessazioni che vi abbiamo fatte. Da qui avanti saremo sempre boni amici, e in qualunque si sia circostanza rammentatevi che avete due re e un imperatore, che saranno sempre disposti in vostro aiuto ".
Si trattennero diversi giorni nella città, e gli furono fatti di grandi feste. Venuto il giorno della partenza, si divisero augurandosi molte felicità, e furono sempre felici.
Siena.
Raccontata da Umiltà Minucci di Siena, la quale, come sempre, dà al suo racconto un andare piú letterario che non le altre novellatrici di questa Raccolta.
La Umiltà è sarta da molti anni in Firenze, dove i bambini l'assediano per novelle; e narra nella schietta parlata dei borghesi di Siena.
20 Serie prima
Varianti e Riscontri
Cfr. con Der Kóníessobn mit den drei Hunden di Livorno di KUNST; con Tavolone, n. XXXVI delle Fiabe abruzzesi del DE NINO; con I tre cani meravigliosi, n. 15 delle Fiabe mantovane del VISENTINI; con La bestia de le sete teste, n. X delle Fiabe pop. venez. del BERNONI; con la prinìa parte del Drachentódt'er, n. 8 de' Volksmárcben aus Venetien di WIDTER e WOLF; con la fav. 3, della X delle Tredici piac. notti drllo STRAPAROLA, ove si tratta di un leone, di un orso e di un lupo invece che di tre cani; con Die drei Fiscbersóbne de' Márchen und Sagen aus Waiscbtiroi dello SCHNELLER, n. 28, e in parte con la VI delle Novelline albanesi di Sicilia delle mie Fiabe: Di mezzomérat fatarm, e con La maga, n. 1 della presente Raccolta. Questa parte di riscontro è il combattimento e la uccisione del drago a sette teste, il quale dovea divorare la principess . a. In Venezía i cani si chiamano ora Sbranapero, Ciapatuti, Questo è il tempo che ti me agiuti (BERNONI), ora Forte, Potente, Ingegnoso (WiDTER-WOLF); in Mantova Corri come il vento, Sbrana-tutti, Rompi-porte e catene; in Livorno Rosicaferro, Rosica-acciaio, Rosica-bronzo. Il Kóhler raffronta questa fiaba con altre tedesche, albanesi, boeme, tirolesi, svedesi, danesi, valacche, a pagg. 132-134, del vol. VII del Jabrbucb f. rom. u. engl. Literatur di Lipsia.
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