La fava
C'era una volta una povera donna, rimasta vedova con un cittino, e 'un aveva da mangiare. Questo cittino l'aveva messo a scola da una maestra, che li teneva senza pagar nulla. Quando il cittino andava a scola, chiedeva alla mamma: " Mamma, qualche cosa per merenda? ".
" Poverino! che vòi che ti dia, un poco di pane?... non ci ho altro! ".
" Ma frugati in tasca, per vedere se tu ci avessi qualche cosa ".
" Fruga da te, e vedrai ".
Il cittino messe la mano in tasca alla madre, e la ricavò fori con una fava secca.
" Eh che me ne ho a fare di questa? è dura! 'un la posso rosicare ".
" 'Un te lo avevo detto che 'un ci avevo niente? ".
" Ma la piglierò non ostante, la seminerò "; e tutto contento se ne andò alla sua scola.
Alla porta della scola c'era un monticino di terra, e lui ce la piantò, e tutti i giorni ci faceva la piscia per innaffiarla. In breve tempo venne una pianta così alta, che arrivò alle porte del celo.
Una mattina questo cittino ci montò sopra, e arrivato alla porta, bussò. Una voce di dentro gli domanda:
" Chi è? ".
" Cecchino ", risposi, " che vole qualche cosa per colazione ".
E san Pietro gli diede un piccolo tavolino, e dice " Quando hai fame, devi dire: Tavolino, apparecchia, e allora ti verrà tutto ciò che vòi ".
Il cittino prese questo tavolino con gran piacere; ringraziò san Pietro, e riscese giù; ma si turbò molto a pensare che la maestra 'un permetteva gingilli a scola. Pensò bene di lasciarlo a un oste, che stava lì vicino, raccomandandogli di non dire: Tavolino, apparecchia, e che a mezzogiorno sarebbe tornato a prenderlo (perchè anticamente usava che a mezzogiorno da scola li mandavano a casa, i bambini).
L'oste, rimasto solo, pensò bene di dire la parola che il cittino gli aveva proibito, e cominciò a dire: Tavolino, apparecchia.
Detta la parola magica, vennero polli, piccioni, e di ogni sorta di vivande belle e cucinate, che all'oste gli fece molto piacere.
Venuta l'ora del mezzogiorno, il cíttino tornò a prendere il suo piccolo tavolino, ma l'oste lo mandò via, minacciandolo di bastonarlo.
Il bambino tornò a casa tutto piangente. " Che hai? " la madre gli domandò.
" Ero montato sulla mia fava, e san Pietro mi avea dato un bel tavolino, che quando avevo fame, dovevo dire: Tavolino apparecchia, e mi avrebbe portato di gran cose bone; e l'ho lasciato all'oste, ma l'oste 'un me l'ha voluto più rendere ".
tu, ciuco, perchè gliel'haí lasciato? ".
maestra a scola 'un vole balocchi ".
intanto mangia... ".
La mattina dopo, il cíttíno rimonta sulla sua fava, e bussa di novo, e san Pietro gli dice: " Chi è? "
" Cecchino, che vole qualche cosa per colazione ".
" 0 non ti diedi ieri un bel tavolino, che potevi mangiare fin che volevi? ".
" Sì, ma lo lasciai all'oste, e 'un me l'ha voluto più rendere ".
" 0 via! eccoti un ciuchino; quando t'ha' bisogno di quattrini, dirai: Ciuchino, spetezza, e lui ti farà de' quattrini ".
Cecchino, tutto contento, prese il suo ciuchino, e ringraziò san Pietro; ma si trovò nello stesso imbroglio di non poter portare il ciuchino a scola, e pensò di lasciarlo all'oste, raccomandandogli però che glielo rendesse al ritorno.
L'oste gli promise di sì.
Cecchino, che era di poco giudizio, tornando indietro, disse: " Badate, 'un gli dite: Ciuchino, spetezza ".
" Cheh! Cheh ", rispose l'oste; " m'importa di molto del tuo ciuchino! ".
Venuta l'ora di mezzogiorno, Cecchino ritorna a prendere quel che aveva lasciato. L'oste 'un glielo volle rendere;
e lo trattò nello stesso modo, di più dandogli uno scappellotto. Tornato a casa, al solito, piangeva, e la mamma gli disse: " Mi hai proprio seccato con questo tuo pianto. Chi te la fa lasciar a quell'omo la roba, zuccone? ".
Ora Cecchino, la mattina di poi, daccapo ritorna da san Pietro, e bussa.
" Chi è? " risponde san Pietro.
" Son Cecchino, che voglio qualche cosa per colazione ". " Sai cíttino, che sei un gran seccatore! Ti ho dato di già due cose, e non siei contento. Tieni, eccoti una mazza: questa si chiama la mazza bacucca; quando sarai cattivo dirai:
" Mazza bacucca,
Batti batti sulla zucca ".
Cecchino non fu molto contento, ma se ne andò ringraziando san Pietro; e quando fu giù, portò anche quella all'oste, facendosi promettere che gliela avrebbe restituita, e raccomandandogli, al solito, di non dire:
Mazza bacucca,
Batti batti sulla zucca.
L'oste, al solito, glielo promise. A mezzogiorno ritornò Cecchino a prendere la sua mazzetta; ma trovò l'oste così sbalordito, perchè la mazza bacucca avea cominciato a dargli sulla zucca, dal momento che era andato a scola Cecchino fino allora.
L'oste, tutto arrabbiato, gli volle rendere tutto, con l'ordine però di non tornare mai più da lui.
Il povero Cecchino, tutto contento, prese i suoi oggetti, stringendoseli al seno, e di corsa se ne andò dalla su' mamma e dal fondo della scala gridando: " Mamma, mamma, che c'è per dèsina?' ".
"Nulla, cíttino mio, secondo il solito".
" Ora vedrete, mamma, quanta bona roba vi porterò io "; e saltando in casa posò tutto sopra un tavolino, urlando: Tavolino, apparecchia! e in un momento venne d'ogni
diDio. Dopo mangiato la mamma e il figlio, tutti contenti, Cecchino disse: " Quattrini ne avete punti?' ".
"No, cittino mio".
" Or ora venite con me in camera, e vedrete "; e prendendo il suo ciuchino, lo portò in camera ordinandogli di spetezzare. Il ciuchino, a questa parola, fece un mucchio di monete. La madre e il figlio furono tanto contenti, perchè si viddero allontanarsi per sempre dalla miseria. Poi Cecchino prendendo la mazza bacucca la consegnò alla madre e gli disse: " Riponetela dentro l'armadio, e quando sarò cattivo gli direte:
Mazza bacucca,
Batti batti sulla zucca ".
Cecchino non ebbe bisogno quasi mai di questa mazza, chè fu un bon cittino, e poi doventò un bravo giovane, e furono felici madre e figlio.
Siena.
Varianti e Riscontri
Altre versioni toscane han dato DE GUBERNATIS, Novelline di S. Stefano, n. XXI: Bastoncrocchia (i tre oggetti sono un tavolino, una pecora marcia e un bastone; vedi anche le varianti toscana e piemontese citate dal raccoglitore a pag. 45; ove, invece della pecora, è un asino- invece di san Pietro, il diavolo); GR"i, Saggio di Letture 'varie, nella Tèa Tècla e Teopista (gli oggetti fatati sono: tavola che dà da mangiare, cavallino che " scambiettando schizza monete d'oro e d'argento ", e randello che mazzica e picchia); COMPARETTI, Novelline popol. italiane, n. VII: Geppone (scatola da mangiare, scatola d'oro con persone che bastonano); NERucci, Sessanta Nov. mont., n. XXXIV: La scatola cbe bastona, ma meglio, n. XLIII: Il ciucbitzo caca-zecchini (asino, tovagliolo, bastone); FINAMORE> n. XXXVII: Lu latte de lu mattarelle (salvietta, asino, bastone); DE NINO, n. VI: Janne (id.); PELLIZZARI, pag. 19: Lu Cuntu de lu Nanni Oreu di Maglie (id.); OR'TOLI, n. XXIII: Bastuncedu dirida (id.). Tre versioni siciliane sono in GONZENBACH, SiCíl. Mdrcb., n. 52: Zaubergerte, Goldesel, Knúppelcben scblagt zu (bacchetta fatata, asino d'oro, bastone), e nèlle mie Fiabe,- n. XXIX: Lu scarpareddu mortu di fami (asino, temperino, forme da scarpe) e n. XXX: La munachedda (salvietta, fazzoletto, bastone). Cfr. pure le versioni napoletana in BASILE, Lo Cunto de li cunti, I, 1, Lo cunto dell'Huerco (tovaglia, forma, mazza); veneziana in BERNONI, Fiabe, n. IX: Ari, ari, caga danari (tovaglia, cavallo, sacco); tirolese in SCHNELLER, Márcben und Sagen, n. 15: Die drei seltenen Stúcke (asino, tovaglia, bastone).
Per altri parziali riscontri vedi le mie Fiabe, nn. XXVI, XXVII, XXVIII e CLVII; e GONZENBACH, Il, pag. 223. La fava Portatrice di fortuna è pure nel Don Giuvanni Misiranti, n. LIZXXVII delle stesse mie Fiabe. Sopra un asino che manda danari è basata la novella XXIV della parte I dell'ORTOLI: L'áne aux sequins d'or. Ad alcuni motivi della nostra novella accenna altresì il Gíovanni senza paura di Jesi, n. VII del COMPARETTI.
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