La socera avara



C'era una volta una contadina, che aveva tre figli maschi. Il maggiore di questi domandò una volta: " Mamma, io voglio pigliar moglie ". - " Pigliala, figliolo mio ". " Vu' me lite a trovar voi ". - " Piglia la Geppa, la un è cattìa ".
Dunque questo povero contadino prese questa ragazza molto contento. Il giorno delle nozze fu un gran scialo di
famiglia, dove ci fu dell'agnello, del fegato e della trippa, e passarono una giornata allegra.
La mattina dopo, la sposa si levò e andiede alla madia per voler prendere il pane, e trovò la madia chiusa. Corse al marito, e disse: " Che uso è questo di serrare il pane? " - " Abbi pazienza, figliola mia; la mamma ha questa usanza, ma la non è cattìa ". La povera sposa s'accomodò.
Dopo poco tempo, il secondo figlio cominciò a dire: " Mamma, voglio moglie ". - " Pigliala ". - " Ma vu' me l'áte a trovar voi, come vu' aete fatto a Cecco ". " Piglia la Tiresia; 'un è cattìa ragazza ". E seguì lo stesso matrimonio, con la solita allegria.

La mattina dipoi la sposa si levò, e cercò il pane, e anche lei trovò la madia chiusa. Corre alla cognata dicendole: " 0 che affare è egli? il pane 'un si mangia quando si 'ole? ".
La cognata gli rispose: " No, insino 'un si lea la mamma, 'un si po' mangiare ". - " Oh questa l'è bella davvero! ma a mene quest'usanze 'un mi vanno ".
" Che volete vu' fare? vi ci 'ole pazienza, gua' "
La mamma si alzò e gli diede un pezzetto di pane per ciascheduna, e una mezza mela.
L'ultima sposa disse: " Una mezza mela a mene, che a casa mia ne mangiavo a corbelli! " - " Se vi piace, l'è così; se no, quella è la porta ", disse la mamma.
L'altra cognata: " State zitta, che quando 'un c'eri voi, ne avevo una 'ntera ". E così ebbero pace.
Ecco il terzo figlio che vòl moglie: " Mamma, voglio moglie, e vu' me lite a trovar voi, come aete fatto a Cecco e a Beco.' " - " Pigliati la Caterina; 'un è cattìa ragazza.
La laora n'il campo come un omo ", (che questa è una gran virtù pe' contadini). Ecco che segue il solito sposalizio, e si sta tutti allegramente.
La mattina dipoi la sposa va cercando del pane, e trova la madia chiusa, e l'infuria bestialmente. La cognata: " E' inutile che vu' andate in collera: tanto insino che 'un si lei la mamma, 'un si manica.' " - " La sarà una bell'usanza, ma a me la 'un mi garba! Ma, gua' pazienza! "
La socera si alzò e diede il pane; quello che dava in due lo divise in tre, la mela ne fece quattro spicchi, dandone uno per ciascheduna, e uno mangiandone lei.
L'ultima sposa 'un lo voleva accettare, ma la prima e la seconda: " State zitta che quando vu' 'n c'eri, noi se n'avea mezza ".
La socera faceva la levatrice, e una notte venne chiamata per andare a ricogliere un figliolo,' e bisognò che lasciasse la casa, però chiudendo tutto. La mattina le nore si alzarono, e la più giovane (quella maritata dopo) che era la più furba: " Oh donne, si ha a far le migliaciole,' " disse. " Ie! " le risposero le altre, " come si ha egghi a fare? ghi è tutto chiuso! " - " Lascite fare a mene, e vu' vedrete ".
La medesima prese un chiodo, e ruppe la serratura della dispensa, dove c'era chiuso farina e unto;' e si misero a fare queste migliaciole. Una di loro stava a far la sentinella, per la paura che tornasse la mamma.
Dopo che n'ebbero mangiate diverse, la mamma a un tratto tornò, e dal fondo della scala sentì l'odore delle migliaciole.
Queste povere donne, disperate, 'un sapevano come fare!
Una si mise la padella sotto la gonnella, l'altra prese la pentola della farinata, e la più giovane sposa si mise in mezzo alla cucina, ad aspettare la socera. Entrando in cúcina urlava: " Birbone! vu' aete fatto le rivolte! " - " le! come s'ha egghi a fare? vu' tenete tutto chìuso! " - " Ma vu' avete aperto peroe ". La povera sposa, 'un sapendo più come fare a rimediare questa faccenda, pensò bene di pigliare per il collo la socera, e tenendola molto stretta, gli fece girare tutta la cucina. Quando la lasciò andare, la 'un dava più quasi segno di vita. L'altre cognate: " Icchè vu aete fatto? poerine a noi! La mamma la more! ... " - " 'Un vi confondete, lasciate fare a mene "; e correndo alla finestra, cominciò a gridare: " Cecco, Beco, Tonio, venite a casa! la mamma more! ".
Questi poveri diavoli vennero di corsa a casa, e trovarono la mamma messa sul letto, che 'un poteva più parlare. Pensarono di andare a chiamare il prete. Il prete venne, e trovò questa vecchia in fin di vita. In fondo al letto c'erano le tre nore, e i tre figlioli che piangevano. La vecchia accennava l'ultima nora, e voleva fare intendere al prete come l'avesse presa per il collo, e fatta girare tutta la cucina. Ma il prete 'un intendeva nulla; sicchè la nora disse: " Io gni dirò quel che la dice: siccome io 'un ho avuto il vezzo,' la mi lascia il suo ". Il prete: " Morite contenta, povera donna, la avrà lei il vezzo "; (si figuri come moriva contenta! l'aveva strozzata!) La povera vecchia morì arrabbiata. Le tre nore vissero tranquille, volendo bene molto a quella che gli aveva levato d'attorno questo patibolo.
Stretta è la foglia e larga la via,
Dite la vostra, chè ho detto la mia.
Siena.


Varianti e Riscontri

Molto simile è una novella siciliana inedita chiamata di Pulcinella, nella quale una levatrice avara fa patire la fame a un suo bravo servitore, che sorpreso dalla padrona mentre frigge, nasconde la padella nella lattina, e la padrona si brucia il sedere. Una novella molto simile è nelle Fiabe siciliane, XCII: Lu principi di Missina, ove però l'avaro è un principe; et,la moglie si arricchisce facendo venire un notaio, e facendogli ritenere come testamentaria di donazione una parola che egli, in fin di vita, dice nel rammaricarsi per la moglie che gli avea presi tutti i danari d'un sotterraneo. Si ravvicini alla seguente XCIV: Li setti tistuzzi; e si confronti con la novella lombarda de' Paralipomeni alla Novellaia milanese dell'IMBRIANI: La sciora e la serva, che è pure nella Novellaja fiorentina, 2' ediz., pag. 620; e con il 48' de' Mdrchen und Sagen aus Wálscbtiroi dello SCHNELLER: Das Kdslaibcben.


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