Vocaboli
Una volta un signore a cavallo andava a spasso; trovò un citto: " Vòi venire a servire con me? " - " Volentieri ". - " Ma bada che tu impari i mi' vocaboli, se no
fai per me ". Allora rispose questo citto: " Come la si chiama? " - " Mi chiamo Cíncilla d'omini. Ma bada se tu vo' venire con me, tu dèi tener a mente i mi' vocaboli. Ma li terrai. tu a mente? " - " Sissignore, gua', li terrò a mente ". Ecco che furono arrivati alla porta di casa; disse il signore: " Lo sai come si chiama questa? " (Volea dire
della porta). " Uscio, porta... come la vòl lei ", fece il servitore. - " No, apri-e-serra ", rispose il padrone. Allora rispose il servitore: " E io dirò apri-e-serra ". - " E questa come la chiami tu? " (che c'era la scala). - " Scala ". " No, scende-e-sale ". Arrivati che funno in casa, c'era un bellissimo foco. " Lo sai come si chiama questo? " - " Foco ". - " No foco: allegrezza ". Poi lo mena alle mezzine. " Lo sai come si chiamano queste? " - " io le chiámo mezzine ". - " No mezzine, no: brocche ". - " E io le chiamerò brocche ". - " E cosa c'è dentro, come la chiamerai tu? ". - " Acqua ". - " No acqua: abbondanza ". Costì lo mena. C'era un gatto sul focolare: " Questo come
chiami tu? " " Io lo chiamerei micio... gatto... come la vòl dire lei ".
No, tu 'un lo devi chiamare così; tu
devi chiamareruffo-raso ". E poi lo menò in camera,
dove 'gli era la moglie con du' figlioli a letto: " 0 questa come la chiameresti tu? " - " lo questa direi che fusse la moglie ". - " E questi altri? " - " i figlioli ". - " Sì, t'hai detto bene moglte, ma questi altri, le mie glorie. - 0 come lo chiameresti tu? " (ch'era il letto). - " Letto, lo chiamerei io ". -- " No letto: riposorio ". Ora il padrone lo menò in una capanna dove c'era il fieno. " Oh, come lo chiameresti tu questo? " - " lo lo chiamerei fieno ". " No fieno: mescolanza ". Dopo lo mena nella stalla, dove c'era un'asina. " Questa come la chiami tu? " " Io la chiamerei asina, la chiamerei somara, ciuca, come vòl lei ". " Tu l'hai a chiamare brutta-pezza ". - " E io dirò bruttapezza ". Poi lo menò in cantina, dove c'era prosciutti attaccati e salami. " 0 questi come li chiami tu? " disse il padrone a il servitore. " Io li chiamerei salami e prosciutti ". - " No, il prosciutto è San Domenico, il salame è la sua compagnia. Bada bene, se non tieni a mente questi vocaboli, 'un ti ci tengo a il mi' servizio ". - " 'Un dubiti, sor padrone, che li terrò a mente ". Lesto lo menò a casa. e andette in camera a farsi spogliare; si fece levar lescarpe: " Lo sai come si chiamano queste? " - " io le chiamo scarpe ". - " No scarpe: taccoli - E queste (che sarebbero state le calze), zoccoli ". - " E i' dirò zoccoli ".
" Ora tu pòi andare a dormire ", disse il padrone.
Arriva il servitore, va giù e piglia brutta pezza, e poi va in cantina, la carica di salami e prosciutti, e poi piglia un mazzo di canapa, e la lega alla coda di ruffo-raso, e poi,, gli dà foco. Ruffo-raso si dètte alla fuga con quel mazzo acceso, e entrò in capanna; allora il servitore avviò a chiamare:
" Cincilla d'omini,
Mettíti taccoli e zoccoli,
Esci dal riposorio,
Lascia le mie glorie.
Ruffo-raffo gli ha preso allegria,
E gli è andato in capanna,
E brucia 'mescolanza;
- io me ne vado via
- brutta-pezza e San Domenico
- la sua compagnia! "
- Pratovecchio.'
Varianti e riscontri
Una versione palermitana col titolo: Lu mastru scar ' paru filosulu è nelle mie Otto Fiabe, n. VII, e una di Cerda col titolo: Tippiti-nnàppiti nella mia raccolta di Fiabe, n. CXLIII. La novella si trova anche in STRAPAROLA, alla fav. 4' della n. IX, il cui argomento è questo: " Papiro Schizza-pedante, tenendosi saper molto è d'ignorantia pieno, e con la sua ígnorantia beffa il figliuolo d'un contadino, il quale per vendicarsi gli abbruciò la casa, e quello che dentro si trovava ". Schizza-pedante, come gratnmatico, esamina in latinità un contadinozzo, e gli dimanda le voci latine: letto, tavola, gatta, fuoco, acqua, ricchezze. Il giovane risponde bene, ma Papiro non ne è contento, e gli dà dell'asino, dicendo che alle voci italiane di letto, tavola, ecc. corrispondono le latine di ripossarium, gaudium, saltagra§a, carniscoculum, abondantia, substantia. Lo scolaro se ne vendica nè più nè meno che il servitore di Pratovecchio e quello di Cerda, ma, come quest'ultimo, gli compone un latino con le medesime parole del pazzo maestro.
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