La scatola di cristallo



C'era una volta un padre vedovo e aveva una figlia. Questa figlia era in età da' dieci a' dodici anni. Lui la mandava alla scola; senno che era sola, la raccomandava sempre alla sua maestra. Intanto la maestra vedendo che questa bambina era priva di madre, lei stessa s'innamorò del padre, e diceva sempre a questa bambina: - " Digli a tuo padre se mi vole per moglie ". Glielo diceva un giorno, glielo diceva un altro, erano sempre in uno stesso discorso. La bambina lo disse al padre più d'una volta, e li diceva: - " Babbo, la maestra sempre mi prega che tu la sposi ". Il babbo diceva: - " Eh! figlia mia, se io riprendo moglie, avrai dei forti dispiaceri ". Ma intanto la ragazza era sempre a battere in un punto; finalmente il padre si persuase di andare una sera in casa di questa maestra. Quella quando lo vidde, fu tutta contenta, e fissarono in pochi giorni il matrimonio. Povera ragazza! quanto se ne dovè pentire di avé trovato una matrigna così ingrata e così infame verso di lei! La mandava tutti i giorni sopra una terrazza a 'nnaffiare un vaso di basìlico, e era tanto pericolosa che se cascava di sotto se n'andava n'un grandissimo fiume.
Seguì un giorno che venne una grossa aquila, ma grossa, e li dice: " Che fai qua? " Lei piangeva> perchè vedeva che c'era il grande pericolo di cascare nel fiume. L'aquila li disse: - " Vieni sopra le mie spalle e io ti porto via, e starai meglio che con la tua nuova mamma". Camminando arrivarono n' una grande pianura; trovarono un bellissimo palazzo tutto di cristallo; l'aquila battiede alla porta, e disse: - " Signore mie, aprite aprite! che vi ho portato una bella giovine ". Le persone del palazzo quando aprano la porta e vedano questa bella bambina, ma bella, rimasero sorprese: chi la baciava da una parte, chi la carezzava dall'altra. Intanto si chiuse la porta, e stavano tranquille e contente.
Andiamo all'aquila, che credeva di fare un dispetto alla matrigna. Un giorno l'aquila si parte e va nella solita terrazza, trova la matrigna che annaffiava il basìlico; li dice: - " Indov'è vostra figlia? " - " Eh! risponde lei: forse cascò da questa terrazza, e andò nel fiume; sono dieci giorni che io non ne so novità ". L'aquila risponde: - " Come siei sciocca! io me la portai; vedendo che tu li facevi tanti strapazzi, me la portai dalle mie fate, e stà benissimo ". L'aquila fece un volo, e se n'andò.
La matrigna presa dalla rabbia e dalla gelosia, chiamò una strega della città e li disse: - " Vedete che mia figlia è viva, e è in casa delle fate di un'aquila che viene spesso nella mia terrazza; ora voi mi dovete fare il piacere di trovare qualche mezzo possibile per quanto questa mia figliastra muore, perchè io ho paura che un giorno o l'altro tornasse per queste parti; e allora il mio marito scoprendo questa cosa certo che m'ammazza ". La strega rispose: " Oh! a questo non avete avè paura; lasciate fare a me ".
Che fece la strega? fece fare un bellissimo panierino di roba dolce, di pasticci, diciamo noi: fra' quali ne fece uno ammaliato, poi scrisse una lettera finendo che fosse suo padre che gliela scriveva, avendo saputo indove lei si trovava li voleva fare questo regalo, e fingeva la lettera
che '1 padre si trovava tanto tranquillo nel sentire che lei era colle fate.
Lasciamo la strega che fa tutto questo inganno, e torniamo a Ermellina (chè così era il nome della ragazza). Le fate gli avevano detto: - " Vedi, Ermellina, noi si parte, e si sta fori quattro giorni; ora in questo tempo guarda bene di non aprire la porta a nessuno, perchè ti si tesse qualche inganno per mezzo della tua matrigna ". Lei li promise di non aprire a nissuno: - " State pure tranquille, chè io sto bene, e la mia matrigna non ha più che fare con me ". Ma non fu così. Le fate se ne vanno; il giorno dopo che Ermellina era sola, sente picchiare alla porta, e diceva: - " Picchia picchia, io non apro a nessuno " (fra sè). Ma intanto i colpi più raddoppiavano, che la curiosità la spinse di affacciarsi alla finestra. E che vidde! Vidde una sua serva di casa (perchè la strega si era strafigurata in persona di servizio di suo padre). - " Oh! mia cara Ermellina, li dice: vostro padre fa lacrime di dolore per voi, perchè credeva assolutamente che voi fossi morta, ma è venuta l'aquila che vi portò via, e li ha, dato questa buona notizia, che voi eri qua colle fate. Intanto vostro padre non sapeva che complimenti potervi fare, perchè conosce bene che non avete bisogno di niente: ha pensato di mandarvi questo panierino di dolci ". Ermellina aveva ancora aperta la porta; la prega la serva di scendere e pigliarsi il panierino e la lettera: lei dicendo sempre: " No, io non voglio niente! " ma poi siccome le donne, specialmente le ragazze, son ghiotte di dolci, scese e aprì la porta. Quando la vecchia gli ebbe consegnato il panierino li disse. - " Mangiate questa "; e li ruppe un pezzetto di quella pasta dolce che era già avvelenata. Quando Ermellina ebbe mangiato il primo boccone, la vecchia scappò e non si vidde più. Ermellina fu appena a tempo a chiudere la porta che cascò in mezzo alle scale.
Andiamo che doveva venire le sue signore, e battevano alla porta; batti batti, nessuno li apriva; loro si vviddero che c'era stato un tradimento e cominciarono a piangere. Intanto la capo delle fate disse: - " Bisogna scassare la porta "; e così fu fatto. Quando fu aperto la porta, viddero Ermellina in mezzo alle scale che era morta. L'altre sue amiche che li volevano tanto bene, cominciarono a piangere, e pregavano la capo-fata che la facesse risuscitare; lei nón voleva acconsentire, " perchè, diceva, mi ha disobbedito "; ma prega l'una, prega l'altra, si persuase, li aprì la bocca, e ancora aveva un poca di pasta dolce senza inghiottire. La fata li messe le mani in bocca, e gliela levò, e Ermellina tornò in vita.
Abbiamo a figurarci qual consolazione fu per le sue amiche; ma intanto la capo la rimproverò per averla disobbedita, e lei promise di non farlo più.
Le fate dovettero ripartire un'altra volta; dice la capo:
" Vedi, Ermellina: io per la prima volta ti ho guarita, ma la seconda non ho più che ti fare ". E lei disse che stassero pure tranquille che non apriva a nessuno. Il fatto non fu così; chè l'aquila credendo di fare stizza alla sua matrigna, li disse che ancora Ermellina era viva. La matrigna negò tutto all'aquila, ma intanto chiamò novamente quella strega e li raccontò così e così, il fatto seguìto, che la sua figliastra era ancora viva. Dice: - " 0 voi la fate morire davvero, o io mi vendico con voi ". La vecchia trovandosi presa li disse che comprasse un bellissimo abito, dei più belli che sì poteva trovare. Ecco che la vecchia si trasforma in una sarta, che era giusto la sarta di casa; piglia quest'abito e parte; va dalla povera Ermellina, picchia alla porta, e li dice: - " Apritemi, apritemi, chè io son la vostra sarta ". Ermellina si affaccia alla finestra e vede la sua sarta, rimase un poco, in verità, confusa, (difatti, chiunque avrebbe fatto così). Dice la sarta: " Scendete, che vi devo misurare un abito ",
Lei disse: - " No no, chè una volta sono rimasta ingannata ". - " Ma io non sono la vecchia, rispose la sarta; voi mi conoscete che vi ho fatto sempre i vestiti ". La povera Ermellina si persuase, e scese le scale; la sarta prese il filo e scappò. Ermellina si stava affìbbiando ancora, quando la sarta sparì; chiuse la porta Ermellina, per salire le scale, ma non ci fu più permesso di salire, chè cascò in terra e morì.

Andiamo alle fate, che vengano alla casa; picchia alla porta, e che volevano picchiare! che non c'era più nessuno. Si misero a piangere... La capo-fata li disse: - "Ve lo dicevo io che mi avrebbe ritradito! ma ora non ho più che fare... " E scassano la porta, e vedano questa povera ragazza con questo bellissimo vestito messo, ma era morta. - Tutte che piangevano, perchè veramente li volevano bene. Ma intanto non ci'fu più che fare; la portarono n'una gran sala, la capo-fata battiede la bacchetta fatata, e comandò che venisse una bella scatola di cristallo ricca, tutta coperta di brillanti e di pietre preziose, poi le altre ragazze combinarono una bellissima grillanda tutta tessuta di fiori e oro; presero questa giovane, li accomodarono benissimo questa grillanda indosso, e poi la messero drento a questa scatola così ricca e così magnifica che era una meraviglia a vederla. Poi battiede la vecchia, al solito, la bacchetta, e chiese un bellissimo cavallo che non ne aveva avere nemmeno il re, compagno. Prendano questa scatola, gliela accomodano sopra alla schiena, lo mettano nella piazza e la vecchia-fata li dice: " Vai, e non ti dovrai fermare fintanto che non troverai uno che ti dirà: Fermati, per pietà, chè io per te ho perduto il mio cavallo ".
Ora lasciamo le fate tutte dispiacenti e andiamo al cavallo che corre a furia d'inferno. Chi passa in questo tempo? il figlio d'un Re (il nome di questo re non c'è); e vede questo cavallo con questa meraviglia sopra di lui; comincia
a spronare il cavallo, corri che ti corro, corse tanto che li scoppiò il cavallo e dovette lasciare il suo cavallo morto per la strada; ma lui sempre correndo dietro a quest'altro cavallo. Il povero re non ne poteva più, eh! si vide perso e disse: - "Fermati per pietà, chè io per te ho perso il mio cavallo! " E il cavallo si fermò (perchè queste erano le parole). Quando il re vidde questa bella giovine laddentro morta, non si curò più del suo cavallo, e se lo portò alla città. La madre del re sapeva che suo figlio era andato a caccia; quando lo vidde venire con questo cavallo carico, non sapeva nemmeno lei che cosa pensare. Il figlio era privo di padre, perciò comandava tutto lui. Arrivò al palazzo, fece scaricare questo cavallo, e fece portare questa scatola nella sua camera di dormire; poi chiamò la madre e li disse: - " Madre mia, io sono andato a caccia, ma mi son trovata la moglie ". - " Ma costi? una popa? una morta? " - " Madre mia, rispose il figlio, lei non si interessi di quello che è, questa è mia moglie ". La madre si messe a ridere e si ritirò nelle sue stanze (che aveva a fare, povera madre?!).
Ora questo povero re non andava più a caccia, non si pigliava più divertimenti, manco a tavola andava più, chè mangiava pure nella sua camera. Si dà la fatalità che li movano guerra, eh! ... lui costretto di dover partire; chiama la madre: - " Madre mia, io voglio due cameriere addette soltanto a guardare questa scatola; che Iddio ne guardi se al mio ritorno trovo qualche cosa di disastro nella mia scatola, io le faccio ammazzare le cameriere ". La madre che li voleva bene, dice: - " Vai pure, figlio mio, non dubitare a niente, chè io stessa starò vigilante per la tua scatola ". Lui pianse diversi giorni dovendo abbandonare questo suo tesoro, ma non ci fu che fare: bisognò partire.
Partito che fu tutte le volte che lui scriveva non faceva altro che raccomandare la sua moglie (chè così la chiamava).
Andiamo alla madre che manco ci aveva più pensato, nemmeno a farla spolverare questa scatola; ma tutt'un tratto viene una lettera che il re aveva vinto la vittoria, e in pochissimi giorni sarebbe stato di ritorno al suo palazzo. La madre chiama le cameriere e li dice: - " Ragazze, siamo rovinate ". Rispondono loro: - " Perchè, Altezza? " " Perchè fra giorni mio figlio è di ritorno, e noialtre... la popa?... come l'abbiamo guardata? " Loro dissero: - " E' vero è vero; ora noi andiamo a lavarli il viso alla popa ". Infatti, vanno nella camera del re, e vedano che la popa nella faccia e nelle mani era tutta sporca di polvere e dalle mosche. Loro pensarono di bene (perchè c'era un piccolo segreto dove c'era la chiave) pensarono di aprire, di prendere una spugna e lavarli il viso, e così fecero. Si dà la combinazione che cascò poche gocciole d'acqua sopra al vestito e rimase tutto macchiato. Le povere cameriere si messero a piangere, e vanno dalla regina per chiedere un consiglio come dovevano fare. La regina li dice: - " Sapete cosa si fa? si chiama una sarta, si fa comprare un abito preciso a questo, e questo li si leva, purchè sia fatto prima che venga mio figlio ". Così fu stabilito: vanno le cameriere alla camera e cominciarono a sfibbiarli il vestito. Al momento che li levavano la prima manica, quella aprì li occhi. Quelle povere cameriere fecero un salto per aria, e tutte spaventate 'un sapevano che si fare più, si trovavano confuse. Una delle più coraggiose dice: " Donna sono io e donna è questa; mangiare, non mi mangerà... " Per fare breve il discorso, questa li levò il vestito; quando li fu levato il vestito di indosso cominciò a scendere dalla scatola, e camminare, e guardava indov'era. Le cameriere si búttarono in ginocchio a lei e li chiedevano per grazia di saperli dire chi era. E lei, poverina, li fece tutto il racconto. Li disse poi: - " Io voglio sapere índove sono? " Allora le cameriere chiamano la madre del re perchè li facesse lei la spiegazione. La madre non mancò di farli tutto il racconto, e lei, poverina, non faceva altro che piangere di tenerezza, pensando a quello che gli avevano fatto fare le fate.
Ora il re stava per venire; li dice la madre: - " Venite qua (alla popa), vestitevi con un abito dei meglio che ci possa essere dei miei ". La vestì insomma come una regina stessa. Eccoti che viene il figlio. Alla popa la fecero rinchiudere n' una piccola camera, che non si facesse vedere. Viene il re con tanta allegria, con tanto suono di trombe, con tutte le bandiere spiegate per la vinta battaglia. Ma a lui non l'interessava niente di tutto questo, corre subito nella sua camera per vedere la popa: le cameriere gli si buttano inginocchioni dicendo: che la popa puzzava, e non ci potevano stare più nel palazzo, bisognò che la facessero seppellire. Lui non l'intendeva questa ragione, chiamò subito due persone del palazzo per fare piantare la forca. La madre, inutile lo confortava: - " Figlio mio, era una morta... " - " No no, io non intendo ragioni, o morta o viva me la dovevi lascia stare ". Finalmente quando la madre vidde che si parlava davvero della forca sonò un piccolo campanello, e venne fori non più la popa ma una bellissima giovane che 'un si era mai veduto l'eguale. Il re allora rimase confuso e disse: - " Com'è questo fatto! " Furono costrette la madre, le cameriere e Ermellina a farli tutto il racconto di quello che gli era seguìto. Lui allora disse: - " Signora madre, giacchè io l'adoravo da morta, e la chiamavo mia moglie, ora intendo che sia mia moglie davvero ". - " Sì, figlio mio, rispose la madre, fai pure, che io sono sempre contenta ". Fissarono le nozze, e in pochíssimi giorni furono moglie e marito.

E vissero e godettero,
A me niente mi dettero,
Mi dettero un confetto,
'N calcio nel petto
Che me ne risento ancora.'


indice
HOME